Lavorare è un favore che facciamo a noi stessi

Il polverone scatenato dai sindacati, le proteste dei lavoratori, lo sdegno del popolo di internet, tutti contro l’apertura durante le festività dei centri commerciali in particolare a Pasqua e Pasquetta.
Ma ho paura che pochi si sono fermati a riflettere.
La prima domanda che mi viene è perché in un sistema economico, l’attività deve fermarsi per una festa religiosa? In Cina e Giappone (su questo sono maestri nell’arte dello schiavismo) non si ferma mai: piuttosto si alternano in un sistema perfetto a puzzle, i lavoratori.
E non dico che in Italia dovremmo diventare come i cinesi o i giapponesi, che sono un bel po’ sfruttati anche se producono e fanno marciare la loro economia. Penso che dovremmo ricordarci che a andare a lavorare non è un favore che facciamo al capo, soprattutto oggi.
Ascoltavo una conversazione in un pub tra un milanese ed un bolognese. Anche se comincia come una barzelletta, il finale lo è un po’ meno: il milanese sembrava quasi il padrone dell’azienda, che metteva in riga il proprietario, rimproverandolo e facendo notare la propria superiorità. E quando l’amico bolognese gli chiedeva quando avrebbe ripreso a lavorare, lui rispondeva che era stato licenziato.

posto fisso
Checco Zalone bacia la sua scrivania del “posto fisso”

Non prendiamoci in giro, l’illusione del posto fisso di Checco Zalone oramai non esiste più. Esiste però la voglia di lavorare, la necessità di lavorare, la responsabilità di capire che non si può dire “no grazie”.
Non ho mai apprezzato lo sviluppo dei sindacati. Una volta avevano un senso, servivano realmente a dare condizioni umane ad un lavoratore con condizioni ai limiti del disumano (leggi qui). Ma poi nei secoli cosa ha realmente fatto il sindacato?
Dalle mie esperienze di giornalista, ho visto che delle volte il sindacato crea solo illusioni, promettendo al lavoratore licenziato di essere riassunto anche se era in torto, promuovendo scioperi che permettono di inasprire i rapporti tra le parti, oppure sedersi al tavolo con le dirigenze politiche per pianificare una carriera politica.
Ma poi sostanzialmente il sindacato non fa altro e fortunatamente molti oggi cominciano a capirlo. Una volta era un ente che serviva realmente, oggi…
Oggi siamo noi il sindacato di noi stessi.
Dobbiamo capire che fuori dalla porta della nostra Azienda, c’è una fila di persone pronte a prendere il nostro posto alle condizioni che noi vogliamo rifiutare. C’è gente che come prima domanda ad un colloqui non formula un “quanto mi dai?” ma piuttosto un “spero di esserne capace”.
Abbiamo ragazzi/lavoratori che non conosco il significato della parolagrazie e per favore ma tanti altri che oltre a queste parole conoscono anche il buongiorno.
In un paese con una popolazione di 62.724.291 persone di cui circa 21.000.000 (il 35%) hanno debiti con Equitalia, 3.487.596 sono disoccupati, 3.574.254 sono lavoratori precari e chi lavora ha un guadagno medio di 37€ netti al giorno (guarda la fonte) ci permettiamo ancora di fare gli schizzinosi il giorno di festa?
E se poi vediamo qualcuno che va a fare la spesa di domenica, ci permettiamo di insultarlo sul suo profilo Facebook come è accaduto al povero Gianni Morandi; ma alzi la mano chi non si è mai trovato senza un prodotto la domenica in casa e non abbiano soffiato un sospiro di sollievo a sapere che il marker era aperto.
La cosa che mi ha fatto sorridere è che le persone che quel giorno hanno protestato perché si sentivano in diritto di non lavorare, che chiedevano a grande voce il loro diritto di riposo, magari erano anche gli stessi che poi si sarebbero lamentati di un cinema chiuso, di un ristorante serrato o che magari, si sono andati a ficcare dentro un centro commerciale.

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